In Italia il ragù non è semplicemente “un sugo con cui
condire la pasta”, un piatto veloce per riempirsi lo stomaco, ma un’arte, un
rito, una ricetta sacra in cui gli ingredienti, selezionati e misurati, si
fondono grazie alla cottura lenta, a cure amorevoli e a uno sguardo attento e
paziente.
Per dirla con le parole di Giuseppe Marotta, lo scrittore
napoletano autore dei racconti del volume L’oro di Napoli, “il
ragù non è una salsa, ma è la storia (…) e il poema di una salsa”.
Che cos’è il ragù? È un sugo molto ricco, che si prepara
cuocendo a fuoco lento vari ingredienti. Nel 1700 quando arriva in Italia, il
francese “ragoùt” (da ragoùter,
“stuzzicare l’appetito”) è principalmente uno stufato a base di pezzi di carne
cotti per ore in un po’di grasso. È il tipico piatto che le famiglie ricche
preparano per feste e banchetti. Poi - è difficile ricostruire quando – il ragù
si trasforma in sugo, diventando il piatto delle famiglie povere, che ricavano
quanto più nutrimento e gusto possibile dagli avanzi della carne. Oggi il nome
abbraccia infinite variazioni, da quelle di carne, pesce o verdura, alle
variegate declinazioni regionali, senza contare le ricette di ciascuna
famiglia. Il ragù per antonomasia resta comunque quello di carne, macinata in
Emilia-Romagna, ma anche in Sardegna; intera e a pezzi a Napoli e in altre zone
del Sud Italia.
Ragù alla bolognese o alla napoletana?
La fama mondiale del ragù si deve alla ricetta bolognese,
talmente apprezzata da essere considerata preziosa. L’Academia italiana della
cucina ha depositato con decreto solenne, il 17 ottobre 1982, la ricetta del
ragù alla bolognese presso la Camera di Commercio del capoluogo emiliano.
L’obiettivo era difendere la ricetta originale da future alterazioni,
adattamenti e “degenerazioni”. La ricetta, d’altra parte, è delicata. Non
prevede l’uso di aromi né di aglio, ammette solo la cartella di manzo, la carne
tenera e poco grassa che divide i polmoni dallo stomaco dell’animale e ha un
tempo di cottura lunghissimo, durante il quale non può essere abbandonata a se
stessa. “Sua maestà il ragù va trattato con estrema attenzione”, mettono in
guardia le cuoche gemelle Margherita e Veronica Simili, icone della cucina
bolognese nel mondo e autrici di tre pratiche guide: Pane e roba dolce. Un
classico della tradizione italiana, Sfida al matterello. I segreti della
sfoglia bolognese e La buona cucina. Pasta, pietanze e altre ricette per la
tavola quotidiano. Non basta seguire passo passo la ricetta. Per un
ragù da manuale ci vuole sentimento, oltre a una certa dose di esperienza, se è
vero quello che dice un detto locale: “Il ragù si prepara col naso”, cioè
prestando attenzione all’odore che emana. Il brevetto bolognese, poi, non detta
solo ingredienti, e fasi di preparazione. Stabilisce anche la varietà di pasta
con cui il ragù può essere mangiato.
Non tutti i tipi di pasta sono in grado di esaltare il
gusto e la consistenza di questo condimento. Solo le tagliatelle, la pasta
all’uovo porosa e ruvida della tradizione emiliana, riescono a trattenere il
sugo e ad amplificarne il sapore. È ammessa solo una variante, le lasagne,
mentre gli spaghetti, specie quelli industriali, cosi lisci e tubolari, proprio
non sono contemplati.
Diversa, la questione, per il ragù napoletano. Qui il
sugo è denso e scuro, la carne – braciole, spalla biancostato, cotica di maiale
– rilascia il suo sapore intenso, ma resta intera, per impreziosire il piatto
di pasta o essere gustata da sola come secondo piatto.
Stando alla tradizione, il ragù napoletano viene mangiato
con gli ziti spezzati, i maccheroni tradizionali, “la pasta da zita”, cioè da
sposa, che veniva servita ai banchetti di nozze. Possono andar bene anche i
paccheri o le penne. L’importante è che la pasta sia artigianale e trafilata al
bronzo. Solo questa varietà, riesce a catturare e a trattenere il condimento,
dando vita a quell’unione perfetta che ha fatto del ragù napoletano un rito non
solo culinario, ma soprattutto sociale. Lo mostra bene Eduardo de Filippo nella
commedia Sabato, domenica e lunedì , diventata poi un bel film
per la regia di Lina Wertmüller. Qui la parabola del ragù raggiunge la sua
apoteosi. La salsa – preparata il sabato, mangiata la domenica e finita (gli
avanzi riscaldati) il lunedì – fa da sfondo ai drammi, della famiglia
protagonista, che cova i propri problemi il sabato, arriva allo scontro la
domenica e si ricompone il lunedì.
Il ragù è anche un rito di nobilitare l’uomo. Come accade
al protagonista de il ragù, uno dei racconti de L’oro di
Napoli: un uomo, piccolo e mediocre durante la settimana,
riesce a dimenticare tutte le miserie della sua vita il sabato e la domenica
quando si dedica, con dedizione quasi religiosa, a questa “laboriosissima salsa
che impegna chi la prepara come un quadro il pittore”. D’altra parte, a
giudicare dalla venerazione di cui è oggetto nella cucina italiana, il ragù
sembra più un’arte che una ricetta, un dono del cielo piuttosto che un
condimento, qualcosa che “non si prepara ma (…) si ottiene, si raggiunge quasi
che fosse un premio o una promozione.”
Ragù classico bolognese
Ricetta originale depositata presso la Camera di
Commercio di Bologna il 17 ottobre 1982.
Ingredienti per 6 persone:
300g di cartella di manzo
150g di pancetta distesa
50g di carote
50g di costa di sedano
50g di cipolla
5 cucchiai di salsa di pomodoro oppure 20g di estratto
tripli di pomodoro
½ bicchiere di vino bianco o rosso, non frizzante
1 bicchiere di latte intero; sale e pepe nero
Procedimento: Si scioglie nel tegame la pancetta a dadini
e tritata finemente con la mezzaluna: si aggiungono le verdure ben tritate con
la mezzaluna e si lasciano appassire dolcemente; si aggiunge la carne macinata
e la si lascia, rimescolando sino a che “sfrigola”; si mette il ½ bicchiere di
vino e il pomodoro allungato con poco brodo e si lascia sobbollire per circa 2
ore aggiungendo, volta a volta, il latte e aggiustando di sale e pepe nero.