Samstag, 24. November 2012

Le Marche


C’È chi dice che una vacanza nelle Marche ti regala “di tutto e di Più”. Non per niente parliamo dell’unica regione italiana che ha un nome “al plurale”. I profondi estimatori di questo spicchio di meraviglia affacciato sull’Adriatico tirano in ballo una semplice proporzione: se l’Italia è il paese con la più alta densità di beni culturali al mondo, le Marche sono una delle regione con la più densità di beni culturali in Italia. Vedere per credere. Non esiste città, borgo, vicolo o piazzetta che non abbia un piccolo gioiello architettonico con una grande storia alle spalle. Non c’è centro abitato senza il suo museo traboccante di reperti archeologici, dipinti da togliere il fiato, libri corrosi dal tempo che raccontano le storie dei grandi personaggi nati su suolo marchigiano. Già, i “grandi” delle Marche. Giganti della cultura come Giacomo Leopardi, Gioacchino Rossini, Raffaello Sanzio e tanti altri, che sono riusciti a coniugare letteratura, musica e pittura con o spirito unico di questa terra.


Le Marche sono una regione dell’Italia centrale di 1.569.303 abitanti con capoluogo Ancona. Confinano con l’Emilia-Romagna (provincia di Rimini), la Repubblica di San Marino, la Toscana (provincia di Arezzo), l’Umbria (provincia di Perugia), l’Abruzzo (provincia di Teramo), il Lazio (provincia di Rieti) e il Mar Adriatico.

Le Marche si collocano sul versante del Medio Adriatico e occupano circa 9.365.86km2 di territorio italiano, che si estende tra il fiume Conca a nord e il Tronto al sud; a ovest la regione è limitata dall’Appennino. Essa presenta una forma caratteristica di pentagono irregolare e si sviluppa perlopiù longitudinalmente da nord-ovest a sud-est. Una zona montuosa é formata dall’Appennino Umbro-Marchigiano. Le Marche sono una delle regioni più collinari d’Italia: le colline comprendono il 69% del territorio. (6.462.90km2). Il 31% (2.902.96km2) è invece montuoso. Le pianure, non rilevabili percentualmente, sono limitate ad una stretta fascia costiera e alla parte delle valli più vicine alla foce dei fiumi.

Donnerstag, 22. November 2012

Il lago Bracciano





Il lago di Bracciano, originariamente chiamato anche Lago Sabato, è un lago di origine vulcanica situato nel nord della provincia di Roma. La sua superficie di 57.5km2 ne fa l’ottavo lago italiano per estensione (il terzo del Centro Italia dopo il lago Trasimeno e quello di Bolsena). La sua profondità massima di 164 metri, a sua volta, lo rende il sesto lago italiano per profondità (il secondo del centro Italia dopo il lago Albano).

Il lago non presenta isole ed ha un piccolo emissario, il fiume Arrone, che origina sulla costa sudorientale e si getta nel mar Tirreno in località Maccarese. A due chilometri ad est del lago si trova il più piccolo lago di Martignano, anch’esso di origine vulcanica.
Sulle sponde del lago sorgono le tre città Bracciano, sul lato occidentale, Anguillara Sabazia, su quello sudorientale, e Trevignano Romano, su quelle settentrionale. Un tratto della sponda orientale del lago è infine amministrativamente parte del comune di Roma. Il lago di Bracciano, assieme al lago di Martignano, è una popolare località turistica e balneare. Nel 1999 l’area è stata dichiarata Parco Regionale, con il nome di Parco regionale di Bracciano-Martignano.

Aspetti naturalistici
Nonostante una certa aggressione urbanistica la zona conserva ancora tratti di vegetazione riparia e di aree più estese di foresta. Ciò favorisce la presenza di numerose specie dell’avifauna acquatica e non.

Le acque del lago sono particolarmente ricche di pesci, grazie anche al fatto che una legge regionale impedisce la navigazione a motore, con esclusione del battello che effettua servizio stagionale fra i tre centri del bacino.
Sul fondo del lago numerosi rinvenimenti attestano insediamenti protostorici, come quello vicino Vicarello (Bronzo Medio), quello di Spoletta (Bronzo Medio e Bronzo recente), o quello di Vigna Grande che raggiunge l’età del ferro.

Insediamento neolitico de La Marmotta
Sulla sponda meridionale del lago,in località La Marmotta, complessi scavi subacquei guidati da Maria Antonietta Fugazzola hanno rinvenuto a 7,5 metri di profondità un importante villaggio sommerso del neolitico, abitato per circa cinquecento anni dal 5700 al 5200 a.C.,con grandi case rettangolari (ne sono state scoperte sette) disposte ordinatamente. Il villaggio, presumibilmente esteso su un’area di 25.000m2, fu abbandonato improvvisamente forse per un’inondazione. I resti che permettono di risalire all’economia e alla dieta del gruppo (semi di grano e orzo, ossa di capra, pecora)in molti casi infatti si trovano ancora negli strati di abbandono e nei vasi. Un caso di ossa e cereali ritrovati nello stesso vaso fa pensare ad un alimento in fase di cottura nel momento in cui si scatenò l’evento finale. Non mancava la frutta: mele, prugne, lamponi, fragole e ghiande. Ancora incerta l’ipotesi che già si producesse vino. La presenza di lino fa inoltre pensare alla coltivazione a fini tessili, mentre non è ancora spiegato il rinvenimento di papavero sonniferi, da cui si ricava l’oppio. Lo Strumentario rinvenuto comprende asce di pietra, falcetta di legno con lama di selce, lame di ossidiana, ceramiche decorate ad impressioni cardiali, oppure dipinte con motivi rossi, neri o bianchi.

Tra i reperti più importanti finora rinvenuti; barchette di ceramica; una statuetta di pietra raffigurante una donna, forse la “dea madre”; soprattutto piroghe scavate svuotando tronchi di quercia. In particolare, una piroga monossile di 9,50 metri, originariamente spezzata in due parti e rinvenuta il 31 luglio 2005 a dodici metri di profondità, è oggi conservata in una teca, contenente sostanze adatte al consolidamento, presso il Centro Espositivo del Neolitico di Anguillara Sabazia.

Mineralogia

Nei pressi del lago, al campo geotermico di Cesano, sono stati rinvenuti diversi minerali; il più rilevante, per il quale è definita località tipo, è la cesanite.


Sonntag, 18. November 2012

Via Prenestina


Era il collegamento più importante tra Roma e l’entroterra del Lazio orientale: per questo porta il nome del luogo che doveva raggiungere: Praeneste, oggi Palestrina. La prima tappa fuori città va fatto oggi a Gallicano per scoprire i resti degli antichi acquedotti romani che portavano acqua alla capitale, alimentati dal fiume Aniene e dalle sorgenti dei Monti Simbruini. Qui si possono ammirare anche alcuni ponti di epoca romana. Una deviazione porta a Zagorolo, ex proprietà della famiglie Colonna e Rispigliosi. Nel loro palazzo ha sede oggi il bel Museo del Giocattolo.(www.museogiocattolo.ti). Da vedere anche la chiesa cinquecentesca dell’Annunziata e la collegiata di San Lorenzo. La città più interessante dell’itinerario è Palestrina, di origine preromana e con importanti resti di età medievale.
L’antica Praenestina era famosa per il Santuario della Fortuna Primigenia, un edificio formato da sei terrazze realizzate sul pendio del monte Ginestro, in cui si poteva interrogare l’oracolo.
Nel 1500 sulla parte alta del Santuario fu costruito il grandioso Palazzo dei Colonna, dal 1630 proprietà della famiglia Barberini, che lo ampliò e modificò fino a farlo diventare come lo conosciamo oggi. Infine, nel 1953, il Palazzo è diventato la sede del Museo Archeologico Nazionale, che al suo interno conserva il celebre Mosaico del Nilo, della fine del II secolo d.C. un’altra tappa da non saltare è la casa-museo del grande musicista Giovanni Pierluigi da Palestrina (www.fondpalestrina.org), che qui nacque nel 1925. In corso Pierluigi si trova il Duomo, dedicato al martire Agapito, dove “il principe della musica” fu organista e maestro di canto.

Samstag, 17. November 2012

La Via Braccianese


La Via Clodia (oggi Claudia Braccianese) è nata per collegare Roma con L’Ètruria interna. L’ha fatta costruire la gens clodia tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. Oggi raggiunge uno dei territori più interessanti e ancora selvaggi a poca distanza dalla città, tra colline e paesi in riva al lago, intatte riserve naturali e grandiosi castelli.
Prima tappa a Galeria Antica (in località Osteria Nuova)ex centro etrusco di cui rimangono soltanto affascinanti resti nella vegetazione, habitat ideale per uccelli, istrici e volpi.
Oggi è „monumento naturale“ (area protetta di RomaNatura www.romanatura.roma.it) e si può visitare soltanto a piedi. Dopo qualche chilometro si arriva al lago di Bracciano. Il lago, di origine vulcanica, è tranquillo e silenzioso perché sulle sue acque possono navigare soltanto barche da pesca e a vela, canoe e windsurf. La località più frequentata è Trevignano Romano, con i resti della Rocca degli Orsini(XV secolo) dove si può visitare il bel Museo Civico Archeologico (www.trevignanoromano.it) che conserva il corredo della tomba dei Flabelli, della seconda metà del VII secolo a.C., e una piroga di 7.500 anni fa. A Bracciano, invece, si può passeggiare tra le stradine del vecchio centro e visitare il grandioso castello Odescalchi (www.odescalchi.it).

Fortezza militare e residenza nobile, é ricco di tesori d’arte: affreschi, decorazioni e dipinti. Per ammirare la natura di questi luoghi si può organizzare un facile trekking nella vicina Riserva Naturale di Canale Monterano, luogo intatto della Tuscia Romana e arrivare fino alle Terme di Stigliano, sorgenti di acqua con iodio e zolfo già amate da Etruschi e Romani, oggi recuperate e valorizzate da un esclusivo albergo con Spa. (www.termedistigliano.it). 

Sonntag, 4. November 2012

Il business della fede


L’Italia è tra i paesi cattolici per eccellenza
Le manifestazioni esteriori della fede, come i pellegrinaggi nei luoghi di culto, sono uno degli aspetti più pittoreschi e più importanti sotto l’aspetto economico.
Iniziamo con un paio di cifre. In Italia ci sono 30'000 chiese e basiliche, 700 musei diocesani, 220 tra monasteri, santuari e conventi. Questo immenso patrimonio sposta ogni anno milioni di pellegrini i cosidetti turisti religiosi. Secondo le ultime stime, in Italia prendono parte ogni anno ai pellegrinaggi dai 35 ai 40 milioni di persone, con circa 19 milioni di pernottamenti. Si tratta di un giro d’affari immenso, stimato attorno ai 4 miliardi di euro. È citare tutti i luoghi di culto, i santuari, le basiliche dove i fedeli venerano santi, reliquie o madonne che piangono. Tra le numerose mete del turismo religioso parleremo solo delle più visitate.

Tralasciamo Roma, che accoglie ogni anno milioni di turisti e fedeli. In cima alla classifica delle mete di pellegrinaggio più visitate troviamo San Giovanni Rotondo, in Puglia. Qui ha vissuto fino alla morte, nel 1968 il frate cappuccino Padre Pio, santificato con il nome di San Pio da Pietralcina nel 2002. 

La vita di Padre Pio ha del leggendario. Figura carismatica, per decenni il frate è stato avversato dalle gerarchie vaticane che lo consideravano un imbroglione, soprattutto per via delle stigmate che Padre Pio aveva ricevuto e che ricordavano quelle di Cristo in croce. A dispetto dei sospetti e delle polemiche sull’autenticità di questo fenomeno, Padre Pio, da sempre, è venerato dai fedeli come nessun altro. Con il tempo la Chiesa cattolica, sotto la spinta di Giovanni Paolo II, ha cambiato il suo giudizio al punto da proclamarlo santo. Ogni anno, a San Giovani Rotondo e nella monumentale chiesa dedicata a Padre Pio, progettata dall’architetto Renzo Piano e inaugurata nel 2004, si recano circa 7 milioni di pellegrini. Il pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo è, sotto tutti i punti di vista, l’appuntamento religioso dei superlativi. Superlativo per le dimensioni, per la devozione dei fedeli. Ma anche esagerato per gli aspetti commerciali, vista la miriade di bancarelle e negozi che vendono ogni oggetto legato al santo e che danno vita a un vero e proprio business che vale oltre 100 milioni di euro all’anno.



La seconda meta più ambita dal turismo religioso è la
Basilica di San Francesco
ad Assisi, in Umbria. La Basilica, Assisi e altri siti francescani sono stati inseriti nel 2000 nella lista del Patrimonio dell’umanità Unisco. Sono circa 5 milioni e mezzo i pellegrini che ogni anno visitano la Basilica consacrata nel 1253, dove sono conservati i resti del santo patrono d’Italia vissuto tra il 1182 e il 1126. La figura del poverello di Assisi, figlio di un ricco mercante, che abbandona ricchezze e stato sociale per vivere in assoluta povertà è tra le più amate in assoluto.










Sempre nell’Italia centrale, precisamente nelle Marche, la terza meta più visitata è il Santuario Della Santa Casa a Loreto, dove è esposta la Madonna Nera o Vergine Lauretana. La Basilica è luogo di pellegrinaggio dal XVI secolo e, ogni anno, accoglie circa 4 milioni di fedeli, che vengono per venerare la casa dove avrebbe abitato la Vergine Maria a Nazareth al momento dell’Annunciazione. La tradizione popolare vuole che le pietre della Santa Casa siano state trasportate dagli angeli a Loreto nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1294. In realtà il trasporto fu opera dei crociati. La Basilica, costruita per proteggere la preziosa reliquia, fu ultimata nel 1587. Loreto è uno dei santuari mariani più importanti del mondo.


L’altra grande meta di pellegrinaggio si trova in Veneto. È la Basilica di Sant’Antonio da Padova dove, ogni anno, circa 4 milioni di pellegrini visitano le reliquie del santo portoghese morto a Padova il 13 giugno 1231. La Basilica, ultimata nel 1310, è la maggiore attrazione della città veneta. Non c’è da stupirsi di tanta fede, visto che Sant’Antonio è considerato il santo più venerato al mondo.




Dietro i giganti che abbiamo menzionato, la lista delle mete religiose è lunga. Ci limitiamo a ricordare il santuario della Madonna delle lacrime a Siracusa, il santuario della Beata Vergine del Rosario a Pompei, il santuario della Madonna Nera di Oropa vicino a Biella, l’abbazia di Montecassino nel Lazio e l’eremo di Camaldoli in Toscana.




Samstag, 3. November 2012

Apertura automatica per ombrello


Soni gli anni Quaranta del 1800 quando Giovanni Gilardini, artigiano originario del Verbano, in Piemonte, arriva a Torino e apre, nella località di Ponte Mosca, un laboratorio per la fabbricazione di ombrelli. Ma è solo verso la fine del secolo, nel 1885, che ha la fortunata idea di brevettare il primo ombrello con apertura automatica. La sua attività, nel giro di qualche decina d’anni, si amplia, diventando una solida azienda con due comparti, uno meccanico e uno conciario.

Freitag, 2. November 2012

Via Aurelia


Quella che oggi è una delle vie lungo la costa più traffico d’Italia, la Statale n.1, è stata costruita nel 252 a.C. probabilmente dal censore dell’epoca, Caio Aurelio Cotta. Nonostante lo sviluppo urbanistico moderno, i primi 150 chilometri della Via Aurelia seguono il percorso dell’epoca attraverso la campagna romana, ex paludi diventate oggi località di mare – come Fregane e Maccarese – oasi naturalistiche e importanti zone archeologiche, come il Colle della Banditaccia, dal 2004 Patrimonio dell’umanità Unesco insieme alla necropoli etrusca di Monterozzi, vicino a Tarquinia.

Prima tappa è a Ceri, bellissimo paese medievale in cima a una roccia vulcanica, con silenziose stradine e mura merlate. Qui si trovano il Palazzo Torlonia, del 1400, e la chiesa di San Felice Papa con affreschi del 1200 del 1300. A poca distanza, ecco l’antica Caere Vetus, oggi Cerveteri, importante centro etrusco e del Mediterraneo antico. Da visitare il Museo Nazionale Cerite (+39 06 994 1354), ospitato nella Rocca del 1200. Poco fuori dal paese, la necropoli monumentale della Banditaccia è una vera e proprio “città”., con 400 tombe di epoche e stili differenti. Tornando verso la costa, ecco la Riserva Naturale di Macchiatonda, 285 ettari tra dune e boschi di alloro, con numerosi uccelli acquatici migratori. Da non perdere, poco più avanti, la zona archeologica dell’antica Pyrgi, ex scalo marittimo di Caere, e il castello di Santa Severa con l’affascinante Museo del Mare e della Navigazione antica. Ultima tappa: Civitavecchia, considerata spesso solo un porto di transito, è invece una bella città di origine etrusca. Tra i monumenti ricordiamo il Forte Michelangelo( iniziato da Bramante e finito forse da Michelangelo), una delle più importanti architetture militari del Cinquecento, voluta da Papa Giulio II

Donnerstag, 1. November 2012

Il Ragù



In Italia il ragù non è semplicemente “un sugo con cui condire la pasta”, un piatto veloce per riempirsi lo stomaco, ma un’arte, un rito, una ricetta sacra in cui gli ingredienti, selezionati e misurati, si fondono grazie alla cottura lenta, a cure amorevoli e a uno sguardo attento e paziente.
Per dirla con le parole di Giuseppe Marotta, lo scrittore napoletano autore dei racconti del volume L’oro di Napoli, “il ragù non è una salsa, ma è la storia (…) e il poema di una salsa”.

Che cos’è il ragù? È un sugo molto ricco, che si prepara cuocendo a fuoco lento vari ingredienti. Nel 1700 quando arriva in Italia, il francese “ragoùt”  (da ragoùter, “stuzzicare l’appetito”) è principalmente uno stufato a base di pezzi di carne cotti per ore in un po’di grasso. È il tipico piatto che le famiglie ricche preparano per feste e banchetti. Poi - è difficile ricostruire quando – il ragù si trasforma in sugo, diventando il piatto delle famiglie povere, che ricavano quanto più nutrimento e gusto possibile dagli avanzi della carne. Oggi il nome abbraccia infinite variazioni, da quelle di carne, pesce o verdura, alle variegate declinazioni regionali, senza contare le ricette di ciascuna famiglia. Il ragù per antonomasia resta comunque quello di carne, macinata in Emilia-Romagna, ma anche in Sardegna; intera e a pezzi a Napoli e in altre zone del Sud Italia.

Ragù alla bolognese o alla napoletana?
La fama mondiale del ragù si deve alla ricetta bolognese, talmente apprezzata da essere considerata preziosa. L’Academia italiana della cucina ha depositato con decreto solenne, il 17 ottobre 1982, la ricetta del ragù alla bolognese presso la Camera di Commercio del capoluogo emiliano. L’obiettivo era difendere la ricetta originale da future alterazioni, adattamenti e “degenerazioni”. La ricetta, d’altra parte, è delicata. Non prevede l’uso di aromi né di aglio, ammette solo la cartella di manzo, la carne tenera e poco grassa che divide i polmoni dallo stomaco dell’animale e ha un tempo di cottura lunghissimo, durante il quale non può essere abbandonata a se stessa. “Sua maestà il ragù va trattato con estrema attenzione”, mettono in guardia le cuoche gemelle Margherita e Veronica Simili, icone della cucina bolognese nel mondo e autrici di tre pratiche guide: Pane e roba dolce. Un classico della tradizione italiana, Sfida al matterello. I segreti della sfoglia bolognese e La buona cucina. Pasta, pietanze e altre ricette per la tavola quotidiano. Non basta seguire passo passo la ricetta. Per un ragù da manuale ci vuole sentimento, oltre a una certa dose di esperienza, se è vero quello che dice un detto locale: “Il ragù si prepara col naso”, cioè prestando attenzione all’odore che emana. Il brevetto bolognese, poi, non detta solo ingredienti, e fasi di preparazione. Stabilisce anche la varietà di pasta con cui il ragù può essere mangiato.
Non tutti i tipi di pasta sono in grado di esaltare il gusto e la consistenza di questo condimento. Solo le tagliatelle, la pasta all’uovo porosa e ruvida della tradizione emiliana, riescono a trattenere il sugo e ad amplificarne il sapore. È ammessa solo una variante, le lasagne, mentre gli spaghetti, specie quelli industriali, cosi lisci e tubolari, proprio non sono contemplati.

Diversa, la questione, per il ragù napoletano. Qui il sugo è denso e scuro, la carne – braciole, spalla biancostato, cotica di maiale – rilascia il suo sapore intenso, ma resta intera, per impreziosire il piatto di pasta o essere gustata da sola come secondo piatto.
Stando alla tradizione, il ragù napoletano viene mangiato con gli ziti spezzati, i maccheroni tradizionali, “la pasta da zita”, cioè da sposa, che veniva servita ai banchetti di nozze. Possono andar bene anche i paccheri o le penne. L’importante è che la pasta sia artigianale e trafilata al bronzo. Solo questa varietà, riesce a catturare e a trattenere il condimento, dando vita a quell’unione perfetta che ha fatto del ragù napoletano un rito non solo culinario, ma soprattutto sociale. Lo mostra bene Eduardo de Filippo nella commedia Sabato, domenica e lunedì , diventata poi un bel film per la regia di Lina Wertmüller. Qui la parabola del ragù raggiunge la sua apoteosi. La salsa – preparata il sabato, mangiata la domenica e finita (gli avanzi riscaldati) il lunedì – fa da sfondo ai drammi, della famiglia protagonista, che cova i propri problemi il sabato, arriva allo scontro la domenica e si ricompone il lunedì.
Il ragù è anche un rito di nobilitare l’uomo. Come accade al protagonista de il ragù, uno dei racconti de L’oro di Napoli: un uomo, piccolo e mediocre durante la settimana, riesce a dimenticare tutte le miserie della sua vita il sabato e la domenica quando si dedica, con dedizione quasi religiosa, a questa “laboriosissima salsa che impegna chi la prepara come un quadro il pittore”. D’altra parte, a giudicare dalla venerazione di cui è oggetto nella cucina italiana, il ragù sembra più un’arte che una ricetta, un dono del cielo piuttosto che un condimento, qualcosa che “non si prepara ma (…) si ottiene, si raggiunge quasi che fosse un premio o una promozione.”

Ragù classico bolognese
Ricetta originale depositata presso la Camera di Commercio di Bologna il 17 ottobre 1982.

Ingredienti per 6 persone:

300g di cartella di manzo
150g di pancetta distesa
50g di carote
50g di costa di sedano
50g di cipolla
5 cucchiai di salsa di pomodoro oppure 20g di estratto tripli di pomodoro
½ bicchiere di vino bianco o rosso, non frizzante
1 bicchiere di latte intero; sale e pepe nero

Procedimento: Si scioglie nel tegame la pancetta a dadini e tritata finemente con la mezzaluna: si aggiungono le verdure ben tritate con la mezzaluna e si lasciano appassire dolcemente; si aggiunge la carne macinata e la si lascia, rimescolando sino a che “sfrigola”; si mette il ½ bicchiere di vino e il pomodoro allungato con poco brodo e si lascia sobbollire per circa 2 ore aggiungendo, volta a volta, il latte e aggiustando di sale e pepe nero.